di Franco Cordelli, Corriere della Sera, marzo 2005
Nella stanza bianca un’anima percossa si arrende
È, ancora una volta, una memorabile prova d’attrice…Valentina recita la sua litania come un’attrice americana, poniamo Jessica Lange, in un dramma di Tennessee Williams.. Nella sua prova vi è qualcosa di lancinante che ci tocca nell’ intimo. Vi è l’ accettazione, urbana e non più urbana, della sconfitta.
È stata una bella combinazione aver visto all’India «Psicosi 4:48» di Sarah Kane proprio l’otto marzo. Non le stucchevoli mimose ma la cronaca, scrive l’autrice, di «una depressione psicotica, quando le linee di confine che permettono di distinguere la realtà dalle diverse forme dell’immaginazione si dissolvono completamente». Ovvero un grido, come scrive il regista Davide Iodice, di cui resta «una nota viva, dolorosa ma fatta gentile, che spinge al canto, alla melodia. Un gesto di cui resta il nitore di perla tragica, la sua incomprensibile sfericità». In una bianca, agghiacciante stanza priva di connotazioni, che potrebbe essere d’ospedale, in cui non resta che il vuoto letto rovesciato, Valentina Capone leva la sua nota gentile. È a piedi scalzi. Dapprima ha un soprabito, poi se lo toglie. Rimane in sottoveste e con il suo biondo caschetto, non più seduttivo come al tempo di una felicità che forse non c’è mai stata. A gambe leggermente divaricate si sposta ondeggiando, oscillando, tremando. Parla a bassa voce. Si interrompe. Afferra quel tavolo, per due delle sue quattro gambe, e le fa ruotare in circolo, come fosse il suo partner di ballo. Si appoggia al muro, stremata. […] Avanza verso di noi, si pone di profilo, torna indietro, si appoggia al muro, grida i suoi tre vaffanculo, al padre, alla madre e a Dio «che mi ha fatto amare una persona che non esiste». Improvvisamente accelera, quando si umilia a chiedere tutto ciò che desidera. «Sono venuta da te per essere guarita […]». […] Si oscurano le luci. La bianca stanza diventa una stanza azzurra. Poi una stanza rossa, rosso cupo. Valentina-Sarah apre le braccia, come un angelo. Piega il capo in avanti, come un affogato. È, ancora una volta, una memorabile prova d’attrice. I confronti sono d’obbligo. Per Monica Nappo, il dramma di Sarah Kane era un grido di dolore, urlo e solitudine, prigionia e rivolta. Per Giovanna Mezzogiorno era regressione, piegarsi in due, in quattro, accoccolarsi, annientarsi. Per Giovanna Bozzolo era una disperata lotta della mente contro il corpo che va in pezzi, scansione e divisione del dolore per renderlo comprensibile: una lotta senza quartiere. Per Valentina Capone è una resa al proprio corpo, al cuore che non comanda più niente, al mondo che ci sopraffà. Nella sua prova vi è qualcosa di lancinante, che ci tocca nell’intimo. Vi è l’accettazione urbana e non più urbana, della sconfitta. Magnifica anche la regia di Davide Iodice: per i tempi, per le luci, per le musiche; e per quella furia grafica, i disegni di Maria Pia Cinque.
Franco Cordelli, Corriere della Sera