La chiave di accesso del mio Psicosi 4:48è nel sottotitolo che con il regista Davide Iodice abbiamo scelto di aggiungere: Cantico. Per noiPsicosi eraun ultimo canto d’amore, un canto disperato per l’amore e la sua mancanza, un canto che oscillava tra la luce e il buio più assoluto, in una piena interazione tra le parole della Kane, il mio corpo in scena, le luci di Maurizio Viani e la proiezione dei disegni di Maria Pia Cinque sulla scatola bianca in pvc scelta come ambientazione, insieme alla sola presenza di un tavolo da obitorio. I disegni erano angeli disperati che si coprivano il volto, corvi che mi osservavano, una bambina lontana.. Tutto era nato da una frase a metà del testo “io parlo per i morti, per i non nati”, e che noi abbiamo posta all’inizio. Così c’era il sapore amaro di un qualcosa già accaduto, un ritornare per raccontare senzapoter cambiare più nulla. Da qui anche la scelta della vestina in raso e della mia parrucca bionda, luminosa cherichiamava l’idea di un angelo tornato sulla terra. E i miei movimenti, ognuno coreografato, nessuna improvvisazione, tra l’immobilità di chi ormai è già lontano, distaccato, e la frenesia “da mosca impazzita” negli attimi emotivamente più forti. Abbiamo scelto di tagliare il colloquio di Sarah con il medico proprio perché ormai era “troppo tardi”. Altre battute invece sono state dilatate, come il “Respondez s’il vous plait” che ripetevo più volte, facendone ora un grido ora un sussurro sulle note di Keith Jarret. In generale, avevamo optato perché io interpretassi ogni ruolofacendo colloqui-monologo per rendere l’idea di voci presenti solo nella mia mente. E di una solitudine estrema, anche ora, anche “dopo”.
Quando penso a Psicosi 4:48 Cantico ritorno a una parte del mio vissuto artistico e personale in cui Teatro e Vita hanno coinciso completamente, ed è meraviglioso e straziante insieme: luce e buio, appunto. Queste parole non si possono semplicemente “interpretare”, richiedono un “darsi alla vita” con centratura, equilibrio, perché evocano mondi, sensazioni complesse e sorprendenti per l’estrema penetrazione psicologica e emotiva che le ha dettate. Smuovono energie potenti che possono essere anche distruttive ed auto-distruttive se non si sa come governarle. Io allora vivevo in una sorta di limbo, uscivo “non completamente indenne” da un grave lutto, ero come “sospesa”.. Inciampata negli scritti di Sarah Kane, li avevo “riconosciuti”, sentiti, resi miei. E non per fissarmi nel mio dolore ma per scrutarmi, comprendermi, completarmi. Da lì ho messo in piedi la produzione. Quelle parole mi erano diventate necessarie, come dovrebbe sempre essere il Teatro.